"Emozioni in parole" - di Nicoletta Rozza

 


Il libro di Rachele Bernardo si presenta come una silloge di brevi componimenti poetici, tutti di argomento autobiografico. L’impalcatura del volume rimanda a un criterio semplice ma di impatto, che senza dubbio ne garantirà il successo da parte del vasto pubblico: l’autrice, infatti, ha voluto che ciascun testo poetico fosse affiancato da un’immagine fotografica, il cui compito consiste nell’evocare nel lettore le emozioni che ne hanno ispirato la composizione: da qui si comprende anche il titolo di emozioni in parole dato alla raccolta. Più nello specifico, Rachele Bernardo ha voluto concentrare la sua antologia intorno a due argomenti fondamentali, che sono gli affetti familiari, da un lato, e la bellezza della natura, dall’altro, due temi che, come vedremo, costituiscono le due anime più profonde di questo volume. Non è un caso, infatti, che la raccolta si apra con una poesia intitolata Amare, in cui compaiono fin da subito i concetti chiave intorno ai quali si costruisce la riflessione dell’autrice: da un lato i termini “vita”, “emozione” e “amore”, tutti in posizione cardine, rimandano al campo tematico degli affetti; dall’altro i termini “sole”, “nuvola”, “vento” e “rondine” costituiscono gli elementi che, in un certo senso, sintetizzano la dimensione naturale e paesaggistica molto presente nella raccolta. In Amare l’enucleazione di questi argomenti avviene in ordine tutto sommato irregolare, lasciando fin da subito presagire come nella raccolta tali temi saranno affrontati in ordine sparso, così come l’ispirazione li ha suggeriti all’autrice. Si tratta del principio della varietà, un principio che ha avuto una certa fortuna poetica fin dall’epoca classica, ma che ha conosciuto sviluppi interessanti anche in tempi più recenti. Per dare un esempio di questa varietà, nella seconda poesia, intitolata Come le rose, Rachele Bernardo utilizza le immagini della rosa e del gelsomino non solo per evocare colori e profumi, ma anche per veicolare un messaggio di autoconsapevolezza, di riflessione sul percorso di vita compiuto ad oggi, nonché di speranza nel futuro, un concetto che viene poi recuperato e ampliato nella terza composizione, Petali di cielo. La quarta poesia, intitolata Sensazioni, è invece dedicata al tema del vino, che subentra all’improvviso. Sensazioni costituisce, in effetti, una delle poesie più riuscite della silloge, perché con essa l’autrice riesce a comunicare, attraverso l’espediente retorico della ipotiposi, tutta la vasta gamma di sensazioni che prova all’assaggio del vino, un’operazione resa possibile non solo attraverso le immagini evocate, ma anche tramite i suoni stessi delle parole, che come è evidente sono state oggetto di un’accurata riflessione.

La silloge, in effetti, nasce da una selezione di componimenti realizzati in momenti diversi, tutti dai toni profondamente autobiografici. I più toccanti sono i testi dedicati agli affetti familiari: «nell’incanto di un amore senza tempo», l’autrice rievoca con dolcezza la figura della madre, una donna che appare come un albero maestoso e solenne, che ha radici, sì, ma soprattutto rami che si estendono fino alla volta del cielo, a simboleggiare il legame profondo non solo con la terra, ossia con le tradizioni, ma anche con gli elementi aerei, ossia con l’avvenire. Il riposo del guerriero, invece, è tutta concentrata intorno alla figura paterna, un uomo «dalla testa dura, dagli occhi dolci e dalla voce alta solo per difetto», in cui ciascuno di noi potrebbe facilmente riconoscere il proprio padre. L’immagine corredata, che ritrae un uomo di spalle, seduto su un ceppo e intento a contemplare, pur nella stanchezza, il risultato della sua fatica, può fungere da collegamento anche con la precedente poesia dedicata alla fine della vendemmia, che si chiude con la splendida immagine dei filari che attendono i contadini per un’ultima raccolta. Ai nonni e, più in generale, al tenero ricordo di un’infanzia spensierata è invece dedicata la poesia intitolata Un angolo di ricordi, forse una delle più autobiografiche delle composizioni che costituiscono la raccolta. Essa, infatti, si sviluppa intorno al tema della nostalgia per il passato lontano, ed è affiancata dalla bella immagine di una bambina, l’autrice quando era piccina, intenta a giocare sulla spiaggia con la sua paletta e i suoi secchielli. A breve distanza, l’autrice colloca una delicata poesia intitolata Qualcosa di te, una delle più emozionanti della raccolta. Vi si descrive il tenero rapporto tra suo figlio e il padre, l’amore indistruttibile che lega due individui dal primo istante in cui si sono incontrati.

L’amore per la natura, che costituisce il secondo grande tema della silloge, si sviluppa secondo due direttrici fondamentali: la prima consiste nella meraviglia che si prova di fronte alla bellezza di paesaggi incontaminati, la seconda esprime l’ammirazione per ciò che la sapiente mano dell’uomo riesce a costruire quando il lavoro avviene nel rispetto della terra e dei suoi tempi. Un esempio molto particolare del primo tema, quello cioè della bellezza e della purezza della natura, è rappresentato, a mio giudizio, dalla breve poesia intitolata La neve, che, «soffice, bianca e silenziosa», è in grado, con la sua sola presenza, di placare la mente e indurre l’animo al riposo. Il tema, per la verità, è antico, e lo si ritrova non solo in buona parte della letteratura classica e umanistica, ma anche in certe canzoni italiani più recenti, come, ad esempio, Inverno di De André. La poesia intitolata Camelia, invece, si snoda intorno alla descrizione appassionata di questo splendido fiore rosso a forma di calice che pian piano, giorno per giorno, dischiude i suoi petali, manifestando con i suoi tempi tutta la sua grazia. La camelia è, in questo contesto, il simbolo della primavera e della rinascita, della vita che ritorna a fiorire dopo il riposo invernale. Non ha stagione, invece, la poesia intitolata Tramonto, tra le poche a disporre anche di una sua traduzione inglese. Elemento mediano tra due apparenti opposti, il tramonto sfuma i colori e anticipa il buio, sì, ma un buio destinato a rischiararsi di stelle. In un certo senso, questa poesia racchiude un messaggio di speranza, perché, come ci insegna Rachele Bernardo, la notte e le stelle donano agli uomini la possibilità di accedere alla dimensione onirica del riposo e delle «tenere favole».

L’ammirazione per ciò che l’uomo riesce a realizzare quando la sua mano opera nel pieno rispetto della natura è un tema che ritorna soprattutto nelle poesie dedicate alla raccolta dell’uva e al vino. Tra le più suggestive, anche per il corredo fotografico che la caratterizza, figura una composizione intitolata Erbaluce, in cui Rachele Bernardo descrive con straordinaria plasticità i biondi grappoli d’uva che, sotto il sole cocente, rivestono la vigna come di un sontuoso abito di festa. Più riflessiva mi sembra, invece, una poesia intitolata L’essenza del vino, in cui l’autrice riesce, in poche battute, a sintetizzare la storia antichissima dei vini vesuviani, notoriamente tra i vini più apprezzati per il carattere deciso e il sapore unico. La bellezza di questa poesia consiste nel fatto che essa racchiude, in appena dieci versi, tutto quello che si può dire su queste uve e la loro storia. La comunicazione, tuttavia, avviene sempre su un piano emotivo, mai su un piano tecnico-nozionistico, e questo permette a chiunque, anche a chi non è esperto di vini, di apprezzarne l’autenticità. Il vino nel tempo, infine, sembra descrivere il lento processo con cui il succo si trasforma in vino. Si tratta di un processo che richiede non solo la paziente azione del tempo, ma anche l’attenta mano dell’uomo, che deve selezionare le uve migliori prima di affidarle alla botte e al legno, in attesa della metamorfosi.

Nell’analisi di un’antologia poetica, quand’anche di un’antologia ispirata al principio della varietà, non si può tralasciare alcun dettaglio. Tuttavia, anche se tutte le poesie meriterebbero un’attenta indagine almeno contenutistica, se non anche stilistico-retorica, per esigenza di sintesi preferisco non soffermarmi dettagliatamente su nessuna di esse, per non fare torto ad alcuna. Nonostante ciò, un’ultima considerazione si rende necessaria: come è noto, in ogni raccolta poetica esistono due momenti fondamentali, che sono scanditi dalle poesie poste all’inizio e da quelle poste alla fine della silloge. Sulla poesia d’esordio, Amare, ho già detto abbastanza: si è visto, infatti, come essa contenga in nuce tutti i temi che l’autrice ha poi ampiamente sviscerato nel suo volume. Passerò dunque a sintetizzare il messaggio contenuto nelle tre poesie poste in chiusura. Non si può passare sotto silenzio la struggente poesia intitolata Addio Marco, in cui il dolore per la perdita del carissimo amico passa attraverso le umane sensazioni non solo della paura, ma anche del rimorso e, soprattutto, della tristezza che si aggrappa al ricordo. Rosa d’autunno, posta poco prima della chiusura del volume, è una delicata poesia dedicata alla natura e alla bellezza delle rose autunnali che impreziosiscono i filari nella sera che avanza. La sua collocazione nella raccolta non mi sembra casuale, ma mi sembra piuttosto dovuta al fatto che in essa i motivi della rosa, dei filari e della sera, sapientemente mescolati in appena sette versi, costituiscono una sorta di commiato dalla silloge stessa, che in larga parte si sviluppa proprio intorno a questi temi. L’ultima poesia della raccolta, infine, si intitola Il mare cui appartengo: essa rappresenta la firma con cui l’autrice chiude definitivamente la sua opera. La poesia incomincia con l’immagine della penna che, al mattino, si posa sull’ultimo foglio: l’opera è compiuta, e l’autrice può finalmente concedersi di chiudere un po’ gli occhi e di ripercorrere con la mente le varie tappe che ha appena finito di raccontare. Il ricordo di ciò che è stato, del pezzo di vita percorso e delle emozioni, ancora attuali, con cui il passato vive ancora, induce l’autrice a sprofondare nel mare dei suoi pensieri, a dirsi corpo che «affonda nelle pieghe del cuore».

Con questa tenera immagine si chiude il volume, ma potrebbe aprirsene un altro. Il libro di Rachele Bernardo, infatti, si presenta innanzitutto come una selezione di poesie composte in momenti diversi: una selezione, appunto, da cui presumo sia stata esclusa una certa parte. Il mio auspicio e il mio augurio è che l’autrice possa, in futuro, tornare sulle poesie che non ha pubblicato in questa sede, perché sarebbe un vero peccato se restassero inedite. Operazioni letterarie di questo tipo richiedono sempre una certa dose di coraggio, sia nel mettersi in discussione sia nell’investire tempo ed energie in un’attività che da molti è considerata vana e poco fruttuosa. In realtà, la poesia rappresenta da sempre uno degli strumenti più potenti con cui l’essere umano ha lasciato una traccia di sé e del proprio sentire nel corso dei secoli: come tale, essa merita di essere coltivata e apprezzata anche oggi, soprattutto oggi, per ridestare le menti e sconfiggere quella parte della società che ci vuole incatenati all’apatia e alla rassegnazione.

 

Roccarainola, 19.11.2022                                                              Nicoletta Rozza


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